Stretching!
Ecco un articolo dedicato allo stretching per il tennista: come svolgerlo, quale pratica impiegare e quanto realmente serve!
Date una lettura e sperimentate i suggerimenti!
Carissimi sportivi, ecco un articolo che certamente stavate aspettando!
Come bisogna comportarsi con lo STRETCHING?
E’ una pratica da impiegare?
In quali forme?
Serve realmente?
Introduzione
Vi sarà certamente capitato di sentirvi dire dai vostri amici, o dal vostro fisioterapista: “quanto sei rigido/a! Dovresti fare dello stretching per migliorare la tua elasticità muscolare!”
Si tratta di un argomento molto dibattuto tra i praticanti di ogni attività sportiva: c’è chi lo rifiuta, chi lo svolge come fosse una regola ferrea e imprescindibile, chi lo svolge distrattamente, mentre parla al telefono o conversa con amici oppure chi lo rifiuta interamente, per mancanza di tempo, volontà oppure per incapacità a svolgerlo.
In questo articolo, cercherò di illustrarvi la mia opinione sulle metodologie di allungamento muscolare, sulla base della mia esperienza con le persone adulte, praticanti giocatori di club.
Come in tutti i settori dell’allenamento sportivo, può diventare molto complesso, trovare un accordo univoco su una metodologia (esercizi, tempi, durata, esecuzione, frequenza): ogni contenuto, poi, evolve nel tempo e le conoscenze scientifiche modificano le modalità di svolgimento di una pratica che, magari, è sempre rimasta tale per molti anni.
L’allungamento muscolare: considerazioni
Prima di introdurvi ai metodi e all’osservazione pratica di ciò che può servirvi, è utile fare alcune considerazioni, che vi servono ad analizzare in forma più “distaccata”, la metodologia dello stretching.
Numerosi autori, a seguito di studi specifici, realizzati su una popolazione sportiva molto vasta, non hanno rilevato alcun beneficio, da una pratica assidua e regolare dello stretching, nella prevenzione dei danni alle fibre muscolari.
In sostanza, “fare stretching” non è una garanzia concreta per la prevenzione degli infortuni muscolari.
Quale potrebbe essere la ragione?
Una possibile spiegazione di questa mancanza di correlazione tra capacità d’elongazione del muscolo e diminuzione degli incidenti muscolari, potrebbe risiedere nel fatto che lo stretching provoca una sorta di effetto “antidolorifico”, che va sotto il nome di “stretch-tolerance”, nei confronti dell’allungamento stesso.
La pratica dello stretching quindi indurrebbe una diminuzione della sensazione dolorosa indotta dall’allungamento, data da un aumento della soglia dei nocirecettori (che sono, in pratica delle terminazioni neuronali, che segnalano al cervello la presenza di stimoli dolorosi) permettendo in tal modo al soggetto di sopportare allungamenti muscolari di maggiore entità, situazione che potrebbe anche paradossalmente aumentare il rischio di traumatismi a livello muscolare.
L’ origine quindi di eventi traumatici è talmente multifattoriale da rendere improbabile l’ipotesi che in questo campo la pratica dello stretching possa costituire una sorta di “panacea”.
Quindi, è molto più plausibile considerare lo stretching come uno dei mezzi utilizzabili nell’ambito di un razionale piano rivolto alla prevenzione degli incidenti muscolari: fare tanto stretching vi potrebbe aiutare nel favorire meccanismi di rilassamento e di controllo della tensione muscolare ma, se desiderate aumentare il vostro livello di prevenzione, dovete investire il vostro tempo nell’allenamento muscolare e quindi, dovete rendere i vostri muscoli più forti, più reattivi e il vostro fisico dovrà avere, in ambito sportivo, una maggiore resistenza organico – muscolare.
Ma lo stretching migliora la prestazione sportiva, in termini di impegno di forza e capacità di esprimere velocità?
Dovete sempre pensare che l’allungamento è, da un punto di vista biomeccanico, assimilabile ad una contrazione di tipo eccentrico, uno “stiramento”, la cui intensità può raggiungere livelli di tipo massimale.
Per questo motivo, facendo precedere alla vostra pratica sportiva, una seduta di allungamento particolarmente intensa, correte sia il rischio di produrre dei danni alla struttura muscolare, in particolare a livello dei miofilamenti di titina sia potete incorrere in un fenomeno di affaticamento muscolare: in entrambi i casi la vostra qualità del gesto muscolare è decisamente rallentata e disturbata.
Un secondo fattore che potrebbe, perlomeno parzialmente, spiegare il fenomeno, è costituito dal fatto che un’eccessiva sollecitazione in allungamento di alcuni gruppi muscolari a discapito di altri, potrebbe costituire un fattore di perturbazione della coordinazione sia tra gruppi muscolari sinergici, che tra agonisti ed antagonisti.
Un ultimo, ma non per questo meno importante, fattore è costituito dal fatto che il tendine, nel corso di un allungamento di una certa intensità e durata, attraversa una fase di riorganizzazione delle proprie fibre di collagene che vengono riorientate meno obliquamente di quanto non fossero nella precedente fase di riposo.
Dal momento che il tendine è il maggior interprete del fenomeno di risposta elastica, quest’ultimo fattore potrebbe assumere un ruolo determinante nella diminuzione delle capacità di esprimere forza: ad esempio, quando vi ritrovate a dover recuperare una palla corta improvvisa e vi serve un rapido reclutamento delle fibre per trovare la maggiore rapidità.
Un’ultima considerazione: “faccio stretching, perché mi previene i dolori del dopo allenamento, i cosidetti DOMS (dolori muscolari tardivi)”
Il fenomeno del “delayed muscle soreness”, successivo ad un allenamento di tipo eccentrico ha un origine metabolica e meccanica ben precisa, è quindi molto probabile che la pratica dello stretching non abbia un’influenza di tipo positivo sul fenomeno in questione.
Anzi, alcuni Autori sostengono che una seduta di stretching particolarmente intensa provochi gli stessi danni muscolari, e quindi la stessa sensazione dolorosa, di una seduta di forza eccentrica.
In bibliografia scientifica, è comunque possibile ritrovare alcuni lavori che testimonino di come una seduta di stretching effettuata dopo l’attività sportiva, non sia in grado di diminuire la sensazione dolorosa percepita dai soggetti nell’ambito delle 24-48 ore susseguenti alla sessione di lavoro.
Utilizzare dunque lo stretching a questo scopo sembrerebbe ingiustificato.
Lo stretching: la pratica
Quindi, cari sportivi e praticanti tennisti, a questo punto, come potete orientarvi nella pratica dell’allungamento muscolare?
Dalle considerazioni precedenti, avete appreso che svolgerlo prima della seduta non vi aiuterebbe, che svolgerlo dopo non vi previene i dolori muscolari tardivi e quindi, il mio suggerimento è questo: consideratelo come una seduta di allenamento vera e propria.
Fatelo nei giorni in cui riposate: i vostri muscoli saranno ben disposti a tollerare un allungamento e la vostra attenzione sarà massima.
Il discorso qui si complica: quali tempi di contrazione; quale metodologia; quali esercizi scegliere.
In prossimi articoli, vi illustrerò altri aspetti, più dettagliati.
Rimaniamo su un principio: ogni esercizio dovrà essere svolto senza dolore e senza movimenti di slancio bruschi e incontrollati.
Se volete “ingannare” il riflesso di stiramento, potete tenere una contrazione più “flash”, intorno ai 3 secondi.
Se volete distendere delicatamente il muscolo e rilassarvi, potete tenere la posizione anche 30 secondi.
Per le 6 foto che seguono, vi faccio una rapida spiegazione degli esercizi che consiglio ai praticanti tennisti.
Il primo esercizio è una forma di allungamento con contrazione flash, seguendo il metodo Wharton, con il supporto di una corda non elastica: stimola i flessori della coscia e una parte del gluteo.
Il secondo esercizio è molto valido per l’allungamento dello psoas: se il muscolo è retratto e accorciato, avete difficoltà a svolgerlo con fluidità.
Il terzo esercizio è ottimo per decomprimere i dischi intervertrebrali e per rilassare il rachide lombare, spesso sede di dolori fastidiosi.
Il quarto esercizio favorisce una contrazione multiarticolare che coinvolge le gambe, i posteriori della coscia, il dorso e le spalle: potete aumentare il vostro grado di contrazione, ad esempio, flettendo i piedi, portando indietro le scapole e “mettendovi più a squadra”, sempre senta sentire dolore.
Il quinto esercizio è un classico metodo di allungamento del dorso e delle spalle, combinato con la contrazione dei quadricipiti, che potete dosare, in base alla distanza tra i vostri glutei e i vostri calcagni dei piedi.
Il sesto esercizio è per gli arti superiori: allunga la muscolature pettorale, spesso contratta e accorciata nei tennisti.
Conclusioni
Quindi, da questo articolo, che richiederebbe ulteriori approfondimenti, vi appare chiaro che: lo stretching non è il miglior mezzo sul quale basare la fase di riscaldamento prima di un match o di un allenamento: le esercitazioni a carattere dinamico, favoriscono un corretto aumento della temperatura e un migliore riscaldamento muscolare interno.
Inoltre la durata dell’allungamento dovrebbe essere limitata ad un massimo di 5’’ al fine di ottenere un’elongazione muscolare massimale e non incorrere in un fenomeno di contrazione riflessa del muscolo sottoposto ad allungamento.
Le lesioni muscolari hanno un’origine molto varia e quindi non riconducibili alla scarsa o assente pratica dello stretching.
Per cui, se siete abituati a praticarlo, tenete conto di queste considerazioni: svolgetelo quando riposate e soltanto se siete rilassati e attenti agli esercizi che svolgete.
Ricordate che, nel tennis, la mobilità articolare e la flessibilità non sono aspetti rilevanti nella prestazione ma possono supportarvi nella realizzazione di gesti motori in forma più dinamica e decontratta.
In prossimi articoli, leggerete di come è possibile, ad esempio, migliorare la mobilità articolare della spalla nell’esecuzione del gesto tecnico del servizio.
Ecco il mio punto di vista, in merito all’impiego dello stretching nell’allenamento al TENNIS!
L’articolo, lo trovate anche pubblicato sulla rivista Il Tennis Italiano di Ottobre 2017.
Per leggere l’articolo, cliccate qui oppure direttamente sull’immagine sotto!
Buona pratica a tutti!